Wednesday, December 2, 2015

Caos nella Città del Progresso (ITA_pt3)

*** Questa è una storia originale ambientata nel mondo di Runeterra, del gioco League of Legends. ***


Caos nella Città del Progresso 3/3


 «Scattava veloce tra le pozzanghere, come un predatore nel bosco, e balzò a capofitto nella coltre di fumo»



   Immerso in un mondo completamente grigio, l’eroe di Piltover esaminava la situazione. Sentiva i lamenti degli uomini feriti tutt’attorno e vedeva chiaramente il robot di fronte a lui. Pensava che doveva essere abbattuto in fretta, ma non poteva fare a meno di chiedersi a cosa servisse quella coltre di fumo.
   Un ciuffo di capelli bagnati ricadde sulla fronte quando Jayce scattò in avanti, verso il fascio di energia che aveva creato poco prima. Era abituato alle scariche elettriche che percorrevano i suoi muscoli appena lo attraversava: il corpo era sempre più agile, veloce e reattivo.
   Mentre si avvicinava, il martello si trasformò adattandosi ad un combattimento corpo a corpo.
Jayce sferrò molti colpi possenti all’automa, incapace di rispondere a quell’assalto furioso. Le armi montate sui suoi avambracci erano adatte a uno scontro sulla distanza e non potevano sostenere una difesa valida in un combattimento a corto raggio.
   Il mostro meccanico barcollò.
   Jayce sollevò il martello, pronto a sferrare il colpo finale, ma in quel momento l’uomo che vestiva l’esoscheletro riprese conoscenza. I suoi occhi erano pervasi dal terrore. Il volto era una maschera sulla quale era dipinta un’implorante invocazione di aiuto.
   «Ti prego! Salvami!»
   La supplica dello scienziato bloccò l’azione di Jayce. Il numero di pensieri che invasero la sua mente era pari alle gocce di pioggia che stavano cadendo attorno a lui. Come avrebbe potuto salvare quell’uomo? Se avesse distrutto l’esoscheletro che lo controllava, cosa sarebbe successo? Sarebbe potuto esplodere?
   Purtroppo per lui, i secondi in cui esitò diedero tempo al robot per riprendersi. La canna lunga e il cannone montati sulle sue braccia cambiarono forma, diventando guanti acuminati che si strinsero attorno alle mani dell’uomo imprigionato.
   «Cibo. Stupido. Ora. Morirai» sentenziò la creatura.
   Le lame affilate saettarono in avanti e si conficcarono nel costato di Jayce, che urlò in preda al dolore.
   «Sceriffo, che sta succedendo là dentro?»
   «Non ne ho idea. Non si sente nulla» disse Caitlyn, indicando la cortina di fumo. Lo sguardo era fisso nel mirino, per essere pronta  a sparare appena avesse visto muoversi quella macchina infernale.
   La sua attenzione fu richiamata dalle urla poco distanti di alcuni poliziotti.
   «State attenti!»
   «Sta arrivando!»
   «Spostatevi!»
   Caitlyn non capì a cosa si riferissero finché non vide una figura massiccia e bestiale, ingobbita, il cui aspetto era celato sotto un mantello con cappuccio color verde scuro.    Scattava veloce tra le pozzanghere, come un predatore nel bosco, e balzò a capofitto nella coltre di fumo.
   «E quello che diavolo è?» si chiedevano tutti.
   Jayce tossì. Sputò un po’ di sangue mentre l’automa lo sollevava da terra. Le fredde lame stavano arrivando alle costole. Sentiva quasi il contatto del metallo con le sue ossa.
   Quando cadde a terra non ebbe neanche la forza di chiedersi cosa stesse succedendo.
   Lo stesso personaggio misterioso che si era lanciato senza paura nel fumo aveva ingaggiato un brutale corpo a corpo col mostro meccanico, i cui artigli laceravano il mantello ma non versarono neanche una goccia di sangue dell’esperto combattente.
   La pioggia cominciò a scrosciare con maggiore intensità. E il vento a soffiare con più forza. Qualche lampo squarciava il cielo in lontananza. Solo grazie ad esso la fitta cortina fumogena che aveva invaso la piazza cominciò a diradarsi.
   Caitlyn e tutti gli agenti che capeggiava osservarono increduli il paladino di Piltover a terra, ferito, circondato da tanti poliziotti che vertevano in condizioni addirittura peggiori. Non sapevano che a ridurlo in quel modo era stato uno sconsiderato gesto di umana compassione, verso lo sfortunato scienziato che era rimasto vittima di quell’esoscheletro diabolico.
   Inoltre, con somma sorpresa di tutti i presenti, la minaccia era stata sconfitta proprio dal campione incappucciato. La macchina era costretta a terra, sovrastata da un essere per metà uomo e per metà lupo. L’acqua gocciolava dagli spessi ciuffi di pelo blu, e picchiettava sulla pesante armatura dorata che vestiva.
   Un lugubre ululato spezzò il silenzio.
   «Cibo. Peloso. Lasciami. Andare.»
   Warwick non rispose. Rivolse all’automa un sorriso maligno, mettendo in mostra I denti aguzzi.
   «Che ci fai qui a Piltover, cacciatore di uomini?» domandò Caitlyn, sparando un proiettile intimidatorio.
   Ancora una volta, il lupo rimase in silenzio. Digrignava i denti con perfido compiacimento, inspirando il dolce odore pungente di sangue che aleggiava tutt’attorno.
   Ululò una seconda volta. Più forte di prima. E strappò il tentacolo meccanico dal dorso dell’esoscheletro. Le luci sul rozzo volto robotico si spensero, e così pure la coscienza della macchina, o per meglio dire, il programma che infondeva in essa una parvenza di vita.
   L’automa fu riparato solo molti giorni dopo.
   Venne riattivato in un laboratorio a due piani, circondato solo da luci intermittenti e da freddo, inerte metallo.
   «Ecco quanto pattuito.»
   «Molto bene. È stato un piacere fare affari con te» ringhiò Warwick prima di allontanarsi lungo uno stretto e oscuro corridoio.
   «E ora veniamo a noi, Rewdan» disse una voce arrogante, al ritmo di un bastone che batteva sonoramente sulle lastre metalliche di una pedana sopraelevata: «Chi immaginava che un mediocre scienziato di Piltover come lei sarebbe riuscito a rubare il mio ultimo prototipo?».
   L’uomo pelato scosse la testa per riprendersi, poi guardò verso l’alto. Il terrore cominciò ad assalirlo quando capì dove si trovava, e che era stato immobilizzato con robuste restrizioni su una specie di tavolo operatorio.
   «Hai preso il mio ultimo capolavoro, un esoscheletro intelligente, libero, e l’hai reso schiavo della carne umana!»
   «Viktor…» ansimò Rewdan: «Ti giuro… io non…».
   Lo scienziato di Zaun, leader della Gloriosa Evoluzione, lo interruppe con un cenno della mano. I suoi occhi, nascosti dietro un’inespressiva maschera di ferro, erano rivolti in basso con disprezzo.
   «Risparmiami almeno le tue scuse. Non so ancora perché il prototipo abbia associato gli umani al cibo. È la logica di un parassita! Indegna di una macchina evoluta!»
   «Cosa vuoi farmi?» chiese Rewdan, ormai privo di ogni speranza di salvezza.
   Il geniale inventore ghignò compiaciuto. Quella domanda era il preludio alla spiegazione del suo grande piano. Non c’è nulla che un egocentrico megalomane desideri di più che esporre i suoi deliri.
   «Niente di troppo complesso. Ho saldato i tuoi arti primitivi alla mia creazione e ti ho imbottito di cariche esplosive che ti ridurranno in briciole se per qualche ragione Chaos-000001 dovesse disattivarsi.»
   Muovendo la testa per quel poco che gli era concesso, Rewdan osservò il suo corpo. Non poteva vedere le bruciature e le cicatrici che l’intervento di Viktor aveva lasciato, ormai nascoste da uno strato superficiale di acciaio lavorato, ma sentiva la carne delle sue braccia e delle sue gambe fusa con l’esoscheletro che aveva indosso.
   Prima gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, poi pianse a singhiozzi.
   «Precisamente.» continuò il genio di Zaun: «Il prototipo che hai rubato era il primo di una serie di centomila esoscheletri intelligenti. Perciò l’ho battezzato Chaos-000001».
   Il tentacolo automatizzato si mosse sinuosamente, e la testa robotica ringraziò umilmente il suo creatore.
   «Sono un mostro» singhiozzava intanto Rewdan.
   «Sì. Lo sei» rispondeva Viktor: «Vedere carne, ossa e sangue legati al mio prototipo mi disgusta. Ho provato a separarti dalla macchina per… beh… ucciderti. Ma non ci sono riuscito senza danneggiare i cavi di controllo e il sostegno spinale. Quindi ho optato per una soluzione alternativa».
   «MI HAI SALDATO A UNA MACCHINA! SEI TU IL MOSTRO!»
   «E TU SEI UN LADRO!»
   Dopo quelle urla, gli animi si placarono in fretta. Lo scienziato di Piltover non aveva più l’energia di lottare contro il suo crudele destino, e Viktor contava i secondi battendoli col suo bastone, in attesa della domanda che arrivò poco dopo. C’erano parole che aspettava con ansia di udire.
   «Che ne sarà di me ora?»
   Il re degli inventori restava impassibile, ma ogni fibra del suo essere urlava: “Vittoria!”.
   «Sai, Rewdan, in realtà c’e una possibilità per te di sopravvivere. Io posso separarti dall’esoscheletro Chaos-000001, così come ti ho unito ad esso.»
   Gli occhi dell’uomo brillarono di nuova luce. La speranza contenuta nelle parole velenose di Viktor l’aveva già conquistato.
   «Tuttavia devi riuscire ad eliminare il suo attaccamento alla carne. Se farai questo per me, io potrò creare nuovi modelli Chaos e montarli su strutture ben più robuste dei fragili corpi umani, e tu sarai finalmente libero. Entrambi avremo di che gioire!»
   Le fasce di metallo che bloccavano Rewdan si aprirono di scatto, e lui si alzò in piedi. Non si rendeva conto che la sua liberazione comportava l’obbligo di accettare la proposta di Viktor. Una miriade di sentimenti contrastanti si agitavano in lui come un mare in tempesta: disperazione, sollievo, dolore, paura. E per ultimo, il dubbio.
   «Come riuscirò a fare ciò che mi chiedi, se neanche tu ne sei stato in grado?»
   Era giunto, finalmente. L’epilogo del suo grande piano: Viktor aveva deliberatamente permesso che il prototipo venisse rubato, e ora aveva una cavia che ne avrebbe testato le potenzialità contro i più forti guerrieri di Valoran. Gli evocatori non avrebbero mai testato volontariamente un suo dispositivo, ma un uomo disperato e bisognoso d’aiuto? Oh, sì! A una persona del genere non avrebbero voltato le spalle.
   «Conosci la Lega delle Leggende? Forse lì troverai qualcuno che può aiutarti.»



FINE


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