Caos nella Città del Progresso 3/3
«Scattava veloce tra le pozzanghere, come un predatore nel bosco, e balzò a capofitto nella coltre di fumo»
Immerso
in un mondo completamente grigio, l’eroe di Piltover esaminava la situazione.
Sentiva i lamenti degli uomini feriti tutt’attorno e vedeva chiaramente il
robot di fronte a lui. Pensava che doveva essere abbattuto in fretta, ma non
poteva fare a meno di chiedersi a cosa servisse quella coltre di fumo.
Un
ciuffo di capelli bagnati ricadde sulla fronte quando Jayce scattò in avanti,
verso il fascio di energia che aveva creato poco prima. Era abituato alle
scariche elettriche che percorrevano i suoi muscoli appena lo attraversava: il
corpo era sempre più agile, veloce e reattivo.
Mentre si avvicinava, il martello si
trasformò adattandosi ad un combattimento corpo a corpo.
Jayce sferrò molti colpi possenti
all’automa, incapace di rispondere a quell’assalto furioso. Le armi montate sui
suoi avambracci erano adatte a uno scontro sulla distanza e non potevano
sostenere una difesa valida in un combattimento a corto raggio.
Il
mostro meccanico barcollò.
Jayce
sollevò il martello, pronto a sferrare il colpo finale, ma in quel momento
l’uomo che vestiva l’esoscheletro riprese conoscenza. I suoi occhi erano
pervasi dal terrore. Il volto era una maschera sulla quale era dipinta
un’implorante invocazione di aiuto.
«Ti
prego! Salvami!»
La
supplica dello scienziato bloccò l’azione di Jayce. Il numero di pensieri che
invasero la sua mente era pari alle gocce di pioggia che stavano cadendo attorno
a lui. Come avrebbe potuto salvare quell’uomo? Se avesse distrutto
l’esoscheletro che lo controllava, cosa sarebbe successo? Sarebbe potuto
esplodere?
Purtroppo
per lui, i secondi in cui esitò diedero tempo al robot per riprendersi. La
canna lunga e il cannone montati sulle sue braccia cambiarono forma, diventando
guanti acuminati che si strinsero attorno alle mani dell’uomo imprigionato.
«Cibo.
Stupido. Ora. Morirai» sentenziò la creatura.
Le
lame affilate saettarono in avanti e si conficcarono nel costato di Jayce, che
urlò in preda al dolore.
«Sceriffo,
che sta succedendo là dentro?»
«Non
ne ho idea. Non si sente nulla» disse Caitlyn, indicando la cortina di fumo. Lo
sguardo era fisso nel mirino, per essere pronta a sparare appena avesse visto muoversi quella
macchina infernale.
La
sua attenzione fu richiamata dalle urla poco distanti di alcuni poliziotti.
«State
attenti!»
«Sta
arrivando!»
«Spostatevi!»
Caitlyn
non capì a cosa si riferissero finché non vide una figura massiccia e bestiale,
ingobbita, il cui aspetto era celato sotto un mantello con cappuccio color
verde scuro. Scattava veloce tra le pozzanghere,
come un predatore nel bosco, e balzò a capofitto nella coltre di fumo.
«E
quello che diavolo è?» si chiedevano tutti.
Jayce
tossì. Sputò un po’ di sangue mentre l’automa lo sollevava da terra. Le fredde
lame stavano arrivando alle costole. Sentiva quasi il contatto del metallo con
le sue ossa.
Quando
cadde a terra non ebbe neanche la forza di chiedersi cosa stesse succedendo.
Lo
stesso personaggio misterioso che si era lanciato senza paura nel fumo aveva
ingaggiato un brutale corpo a corpo col mostro meccanico, i cui artigli laceravano
il mantello ma non versarono neanche una goccia di sangue dell’esperto
combattente.
La
pioggia cominciò a scrosciare con maggiore intensità. E il vento a soffiare con
più forza. Qualche lampo squarciava il cielo in lontananza. Solo grazie ad esso
la fitta cortina fumogena che aveva invaso la piazza cominciò a diradarsi.
Caitlyn
e tutti gli agenti che capeggiava osservarono increduli il paladino di Piltover
a terra, ferito, circondato da tanti poliziotti che vertevano in condizioni
addirittura peggiori. Non sapevano che a ridurlo in quel modo era stato uno
sconsiderato gesto di umana compassione, verso lo sfortunato scienziato che era
rimasto vittima di quell’esoscheletro diabolico.
Inoltre,
con somma sorpresa di tutti i presenti, la minaccia era stata sconfitta proprio
dal campione incappucciato. La macchina era costretta a terra, sovrastata da un
essere per metà uomo e per metà lupo. L’acqua gocciolava dagli spessi ciuffi di
pelo blu, e picchiettava sulla pesante armatura dorata che vestiva.
Un
lugubre ululato spezzò il silenzio.
«Cibo.
Peloso. Lasciami. Andare.»
Warwick
non rispose. Rivolse all’automa un sorriso maligno, mettendo in mostra I denti
aguzzi.
«Che
ci fai qui a Piltover, cacciatore di uomini?» domandò Caitlyn, sparando un
proiettile intimidatorio.
Ancora
una volta, il lupo rimase in silenzio. Digrignava i denti con perfido
compiacimento, inspirando il dolce odore pungente di sangue che aleggiava
tutt’attorno.
Ululò
una seconda volta. Più forte di prima. E strappò il tentacolo meccanico dal
dorso dell’esoscheletro. Le luci sul rozzo volto robotico si spensero, e così
pure la coscienza della macchina, o per meglio dire, il programma che infondeva
in essa una parvenza di vita.
L’automa
fu riparato solo molti giorni dopo.
Venne
riattivato in un laboratorio a due piani, circondato solo da luci intermittenti
e da freddo, inerte metallo.
«Ecco
quanto pattuito.»
«Molto
bene. È stato un piacere fare affari con te» ringhiò Warwick prima di allontanarsi
lungo uno stretto e oscuro corridoio.
«E
ora veniamo a noi, Rewdan» disse una voce arrogante, al ritmo di un bastone che
batteva sonoramente sulle lastre metalliche di una pedana sopraelevata: «Chi
immaginava che un mediocre scienziato di Piltover come lei sarebbe riuscito a
rubare il mio ultimo prototipo?».
L’uomo
pelato scosse la testa per riprendersi, poi guardò verso l’alto. Il terrore
cominciò ad assalirlo quando capì dove si trovava, e che era stato immobilizzato
con robuste restrizioni su una specie di tavolo operatorio.
«Hai
preso il mio ultimo capolavoro, un esoscheletro intelligente, libero, e l’hai
reso schiavo della carne umana!»
«Viktor…»
ansimò Rewdan: «Ti giuro… io non…».
Lo
scienziato di Zaun, leader della Gloriosa Evoluzione, lo interruppe con un
cenno della mano. I suoi occhi, nascosti dietro un’inespressiva maschera di
ferro, erano rivolti in basso con disprezzo.
«Risparmiami
almeno le tue scuse. Non so ancora perché il prototipo abbia associato gli
umani al cibo. È la logica di un parassita! Indegna di una macchina evoluta!»
«Cosa
vuoi farmi?» chiese Rewdan, ormai privo di ogni speranza di salvezza.
Il
geniale inventore ghignò compiaciuto. Quella domanda era il preludio alla
spiegazione del suo grande piano. Non c’è nulla che un egocentrico megalomane
desideri di più che esporre i suoi deliri.
«Niente
di troppo complesso. Ho saldato i tuoi arti primitivi alla mia creazione e ti ho
imbottito di cariche esplosive che ti ridurranno in briciole se per qualche
ragione Chaos-000001 dovesse disattivarsi.»
Muovendo
la testa per quel poco che gli era concesso, Rewdan osservò il suo corpo. Non
poteva vedere le bruciature e le cicatrici che l’intervento di Viktor aveva
lasciato, ormai nascoste da uno strato superficiale di acciaio lavorato, ma
sentiva la carne delle sue braccia e delle sue gambe fusa con l’esoscheletro
che aveva indosso.
Prima
gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, poi pianse a singhiozzi.
«Precisamente.»
continuò il genio di Zaun: «Il prototipo che hai rubato era il primo di una
serie di centomila esoscheletri intelligenti. Perciò l’ho battezzato
Chaos-000001».
Il
tentacolo automatizzato si mosse sinuosamente, e la testa robotica ringraziò
umilmente il suo creatore.
«Sono
un mostro» singhiozzava intanto Rewdan.
«Sì.
Lo sei» rispondeva Viktor: «Vedere carne, ossa e sangue legati al mio prototipo
mi disgusta. Ho provato a separarti dalla macchina per… beh… ucciderti. Ma non
ci sono riuscito senza danneggiare i cavi di controllo e il sostegno spinale.
Quindi ho optato per una soluzione alternativa».
«MI
HAI SALDATO A UNA MACCHINA! SEI TU IL MOSTRO!»
«E
TU SEI UN LADRO!»
Dopo
quelle urla, gli animi si placarono in fretta. Lo scienziato di Piltover non
aveva più l’energia di lottare contro il suo crudele destino, e Viktor contava
i secondi battendoli col suo bastone, in attesa della domanda che arrivò poco
dopo. C’erano parole che aspettava con ansia di udire.
«Che
ne sarà di me ora?»
Il
re degli inventori restava impassibile, ma ogni fibra del suo essere urlava:
“Vittoria!”.
«Sai,
Rewdan, in realtà c’e una possibilità per te di sopravvivere. Io posso
separarti dall’esoscheletro Chaos-000001, così come ti ho unito ad esso.»
Gli
occhi dell’uomo brillarono di nuova luce. La speranza contenuta nelle parole
velenose di Viktor l’aveva già conquistato.
«Tuttavia
devi riuscire ad eliminare il suo attaccamento alla carne. Se farai questo per
me, io potrò creare nuovi modelli Chaos e montarli su strutture ben più robuste
dei fragili corpi umani, e tu sarai finalmente libero. Entrambi avremo di che
gioire!»
Le
fasce di metallo che bloccavano Rewdan si aprirono di scatto, e lui si alzò in
piedi. Non si rendeva conto che la sua liberazione comportava l’obbligo di
accettare la proposta di Viktor. Una miriade di sentimenti contrastanti si agitavano
in lui come un mare in tempesta: disperazione, sollievo, dolore, paura. E per
ultimo, il dubbio.
«Come
riuscirò a fare ciò che mi chiedi, se neanche tu ne sei stato in grado?»

«Conosci la Lega delle Leggende? Forse lì
troverai qualcuno che può aiutarti.»
FINE
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