Caos nella Città del Progresso 1/3
«Allora, io ero a Zaun, ecco. E poi mi si avvicina questo tipo che fa tanti complimenti a me e a Fishbones. E anche lui l’ha sentito parlare. E ha detto che mi avrebbe dato tante altre armi che parlano se avessi fatto una cosa per lui…»
«Lasciami andare!»
Le lunghe trecce color blu elettrico di una giovane ragazza tremavano come impazzite mentre lei scuoteva la testa a destra e a sinistra, agitandosi freneticamente nel vano tentativo di liberarsi. Sbatteva i piedi per terra, infuriata, ma il suo temperamento non indeboliva la vigorosa presa dei guanti meccanici che la stringevano alle spalle, né allentava le manette strette ai suoi polsi.
«Piantala di fare casino! È solo colpa tua se sei in questa situazione.»
«Almeno le mie mani non sono grasse come le tue» rispose la ragazzina con tono arrogante.
Vi inarcò il sopracciglio. La pazienza non era mai stata tra le sue virtù, al contrario dell’irascibilità che le impediva di sopportare le prese in giro.
«Meglio per te se la smetti, carina» disse, digrignando i denti.
«Io sono carina! Io sono carina!» cominciò a canticchiare Jinx. I suoi stivali di cuoio battevano ritmicamente sulla strada, spostando pezzi di asfalto e cemento inceneriti dalle recenti esplosioni che lei aveva provocato.
«Hai sentito, Fishbones?» la domanda era rivolta al lanciarazzi con il quale aveva devastato un piccolo quartiere di Piltover. L’arma era rimasta a terra dopo che lei era stata catturata, ma Jinx si illuse di avere la sua attenzione quando vide che la bocca di fuoco era rivolta proprio verso di lei.
«La cicciona ha detto che sono carina. Invece lei è bruttissima e i suoi capelli rosa fanno schifo» continuò la ragazza, ridendo istericamente.
«Stupida! Idiota! Cretina! Lasciami andare!» gridò subito dopo un repentino cambiamento di umore.
Stanca di quelle provocazioni, Vi allentò la presa e sollevò una mano per colpire la sua prigioniera.
«Fermati!» ordinò con voce autoritaria lo sceriffo della città. Era appena arrivata sul posto, dopo aver assicurato la cattura di quella scapestrata teppista, disarmandola con un solo colpo del suo fucile di precisione.
«Ma la senti? Non la smette di provocare. Non la sopporto più!»
Caitlyn sospirò, rassegnata nel constatare che Vi era simile a Jinx sotto molti punti di vista. Era irascibile, sempre pronta all’azione e un po’ infantile. Per fortuna non era altrettanto pazza.
«Portala in cella e non dovrai più starla a sentire» ordinò lo sceriffo: «Ma prima lascia che le faccia una domanda».
Non c’era più molta gente lì intorno. La maggior parte dei cittadini era scappata via dopo le prime esplosioni e le persone intrappolate nei palazzi semi distrutti era stata tratta in salvo da una flotta di droni soccorritori. Sottili colonne di fumo nero danzavano sinuosamente mentre ascendevano silenziose verso il cielo.
Lo sguardo di Caitlyn si spostò sulle macerie della fontana in marmo bianco, che fino a pochi minuti prima zampillava allegramente al centro della piccola piazza ormai deserta. Le panchine di legno erano incenerite e quasi tutti gli edifici circostanti portavano delle cicatrici: sorrisi maldestramente dipinti con vernice spray, scritte come “Jinx è stata qui” o “I poliziotti fanno schifo” create da serie di proiettili sparati contro i muri, enormi buchi causati dalle esplosioni di missili e granate.
Solo una struttura non aveva subito danneggiamenti. Era un piccolo edificio in mattoni rossi, con una porta di legno dipinta di nero. Non c’erano vetri alle finestre, ma robuste sbarre d’acciaio impedivano l’ingresso a qualsiasi cosa più grande di un gatto randagio.
«Perché non hai sparato anche qui?» domandò Caitlyn, con tono indagatorio.
Jinx aveva capito che la domanda era rivolta a lei, ma non disse nulla. Abbassò la testa e cominciò a ridacchiare a bassa voce. Vi la trascinò con la forza accanto alla sua compagna, intimandole di rispondere. Nulla da fare: la ragazza era troppo ostinata. Se sapeva qualcosa non lo avrebbe rivelato facilmente.
«Vi, perché non vai a fare a pezzi quel lanciarazzi? A Jinx non servirà in prigione.»
Sentendo quelle parole, Jinx alzò la testa rapidamente. I suoi occhi spalancati sembravano gridare: “Non vorrai farlo davvero?!” ma lo sguardo di ghiaccio dello sceriffo di Piltover conteneva un irremovibile e deciso “Sì”.
«Hey! Hey! Aspetta un attimo!» disse Jinx, prima ancora che Vi avesse la possibilità di avvicinarsi alla sua preziosa arma: «Posso dirti qualcosa, ma non fare male a Fishbones» implorava.
Lieta che la sua minaccia avesse avuto l’effetto sperato, Caitlyn si avvicinò alla ragazza ammanettata. Notò che i suoi occhi rossi brillavano di accesa frenesia mentre raccontava perché era tornata a portare il caos a Piltover.
«Allora, io ero a Zaun, ecco. E poi mi si avvicina questo tipo che fa tanti complimenti a me e a Fishbones. E anche lui l’ha sentito parlare. E ha detto che mi avrebbe dato tante altre armi che parlano se avessi fatto una cosa per lui…»
Jinx raccontò tutto d’un fiato, velocemente e senza pause. Il suo discorso era molto difficile da seguire e inoltre poteva benissimo trattarsi di una serie di frottole concatenate in fretta e furia. Ma perché l’edificio in mattoni rossi non avesse neanche un graffio?
«Beh, ora che ti abbiamo presa le armi parlanti non le avrai comunque» puntualizzò Vi, evidenziando quanto gli atti vandalici di Jinx fossero stati sconsiderati e privi di senso.
Lei si fece pensierosa, poi ci rise su: «Però è stato divertente» disse.
Caitlyin rifletteva in silenzio, osservando la porta chiusa e le finestre sbarrate. Dentro era tutto buio e dall’edificio non proveniva alcun suono. Non fu troppo tardi quando lo sceriffo intravide un bagliore arancione farsi largo prepotentemente nell’oscurità, e udì un rombo sordo ruggire sotto i suoi piedi.
«A terra!» gridò.
La porta di legno fu scardinata da una potentissima esplosione. Lingue di fuoco, rosse e calde, si agitavano al vento mentre cenere e detriti si disperdevano tutt’intorno. L’edificio sembrava un demone infernale che stava rigurgitando enormi quantità di fumo nero e polvere.
Vi si alzò in fretta. Notò che Jinx era ancora distesa a terra, scombussolata dopo la gigantesca esplosione, e pensò che non ci fosse il rischio che scappasse via. Corse dalla sua compagna e la aiutò a rialzarsi.
«Che diavolo è successo?» chiese.
Lo sceriffo di Piltover scosse la testa. Non lo sapeva.
«Sto bene, Vi. Tranquilla» rispose, stringendo saldamente il suo fucile tra le mani.
Vi annuì. Si incamminò verso l’ingresso del piccolo edificio fumante e guardò all’interno: fuoco, fumo e polvere. Non vide altro. Alzò uno dei suoi grandi guanti meccanici per proteggere gli occhi dal calore, poi si voltò.
«Deve essere stato un ordigno messo lì da quella pazza» disse, indicando Jinx con un cenno del capo: «Ecco perché non aveva sparato qui. Era una trappola. Per fortuna non c’era nessuno dentro».
Terminata la frase, Vi sentì un dolore lancinante al fianco sinistro. Abbassò lo sguardo: aveva un piccolo arpione conficcato all’altezza del rene.
La ferita cominciò a sanguinare, ma lei istintivamente si voltò per capire chi l’avesse colpita. Con i guanti meccanici sollevati riuscì a bloccare l’enorme proiettile diretto verso di lei, ma l’esplosione la sbalzò comunque indietro di molti metri. Impattò violentemente al suolo con la schiena e boccheggiò per cercare di riprendere fiato.
Dopo pochi secondi, l’attenzione di Caitlyn, Jinx e Vi fu catturata dal rumore di passi pesanti che proveniva dall’edificio in fiamme. Tutte e tre guardarono verso l’ingresso, dove fino a pochi minuti prima si trovava la porta nera placidamente serrata.Una figura massiccia emerse dal fumo. Le spalle meccaniche erano troppo larghe per passare da quella piccola apertura, così l’architrave e il telaio della porta vennero brutalmente demoliti.
Un semplice sguardo non poteva bastare per descrivere quella mostruosità. Sembrava un comune esoscheletro, con parti meccaniche che coprivano completamente la schiena e gli arti di un essere umano. Ma l’uomo, pelato, di mezza età e vestito con un camice bianco pieno di strappi e bruciature, era incosciente. Il suo corpo era avviluppato in un groviglio di cavi percorsi da scosse elettriche.
Sulla schiena si notavano due cose: un ingombrante contenitore cilindrico e un tentacolo meccanico, una sorta di grottesco collo artificiale al termine del quale un inespressivo volto robotico osservava la scena con distaccato interesse.
Caitlyn si alzò in piedi, imbracciò il fucile e sparò verso quella macchina. Non ebbe il tempo di pensare se fosse l’uomo a controllarne le azioni, sapeva solo che era una minaccia per Piltover e doveva essere fermata.
Il robot reagì alzando istantaneamente il braccio destro. Dalla canna lunga montata sull’avambraccio partì un altro proiettile che intercettò quello diretto verso di lui. La sua capacità di reazione e la sua precisione lasciarono Caitlyn a bocca aperta.
Sorprendentemente, la creatura non attaccò. La sua attenzione era concentrata altrove. La testa meccanica stava osservando in direzione di Jinx e Vi, una ancora ammanettata e l'altra ferita, entrambe distese a terra.
«Gli. Umani. Sono. Cibo» sentenziò una ruvida voce metallica.
Il robot avanzava verso di loro, incurante dei colpi che Caitlyn continuava a sparargli contro, tutti facilmente intercettati. Quando fu abbastanza vicino, tese la mano sinistra verso il collo di Jinx.
La ritrasse immediatamente e balzò all’indietro appena percepì il globo di elettricità che era stato scagliato contro di lui.
Il corpo dell’uomo era ancora inerte, sebbene la sua carne fosse dilaniata da scosse elettriche sempre più frequenti, ma la testa meccanica guardò con astio verso i due personaggi che avevano appena fatto la loro comparsa.
A proteggere Jinx si erse un ragazzo di colore, entrambi i lati della testa rasati e con una lunga striscia di capelli centrali. In mano stringeva la lancetta che aveva rubato proprio da una delle torri dell’orologio di Piltover.
Di fronte a Vi si stagliò un uomo più robusto, con una corta barba ordinata e la mascella squadrata serrata per la rabbia. Il suo martello era pronto a parlare per lui.
All’apparenza, i due erano l’uno l’opposto dell’altro. Eppure, senza saperlo, avevano qualcosa in comune. Ciascuno si voltò verso la ragazza che era corsi ad aiutare, ed entrambi sfoggiarono un sorriso caldo e rassicurante.
«Non avere paura» dissero: «Sono arrivato!».
...continua
*** Se non hai confidenza col gioco League of Legends, clicca su questa immagine per scoprire l'aspetto dei personaggi. ***
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