Sunday, January 15, 2017

Ahrmio_The_Herald_Of_The_Mist_ITA

Ahrmio

Fili nella Nebbia Oscura

I
- Domande e vecchie storie -
I cardini della massiccia porta in legno di frassino scricchiolarono, come di consueto quando un nuovo avventore entrava all’Anguilla d’Argento.
Varcata la soglia della taverna, annunciata dal ticchettio prepotente dei tacchi che battevano contro il pavimento, la donna appena arrivata fu investita da uno sciame di occhiate indiscrete. L’odore rinfrescante di una rara birra scura, era sovrastato dal pungente aroma di aringhe marinate nel vino, una ricetta caratteristica dell’isola, protagonista in quasi tutti i piatti dei commensali. Lei si leccò le labbra rosse, che si deformarono in una smorfia, mista di impazienza e disgusto; i suoi lunghi capelli corvini, raccolti in una lunga e spessa coda, dondolavano sinuosamente, mentre lei procedeva decisa verso un’area appartata della bettola.
Un uomo anziano sedeva, solo, ad un tavolo inzuppato di birra, attorniato da una decina di giovani marinai che saltavano agitati e urlavano con foga “È il tuo turno!” a un membro del loro gruppo. Incitato dai compagni, uno spilungone senza un orecchio avanzò, ostentando coraggio e sicurezza. Tra le dita callose stringeva un rozzo coltello da lancio in ferro; di fronte a lui, il bersaglio: un geco blu, maculato, che misurava poco più di un dito, stava scalando una robusta trave di legno.
Il giovane marinaio scagliò il coltello, che si conficcò poco distante dalla coda dell’animale. Si levò un coro di disappunto, mentre un altro marinaio si faceva avanti. Barcollante e confuso dall’alcol, lanciò il suo coltello in tutta fretta, poiché il geco aveva iniziato a correre disperatamente verso la salvezza. Il rettile cercava protezione fra le travi del soffitto, ed evitò senza troppe difficoltà il coltello scagliatogli contro dal marinaio ubriaco.
“Fate davvero schifo!” li sbeffeggiava il vecchio capitano, definendoli con tono divertito marinai d’acqua dolce e figli di squali con la scabbia. La sua voce era roca e secca. Probabilmente le corde vocali gli si erano consumate nel corso degli anni, a furia di impartire ordini tentando di sovrastare il suono del vento e delle onde del mare. Gli occhi erano profondamente infossati, le guance scarne e gli zigomi, dai quali partivano ispidi ciuffi di barba grigia, decisamente prominenti. Il volto dell’anziano dalla testa pelata sembrava un teschio, rivestito da un sottile strato di carne e pelle.
Molti marinai cominciarono a sbuffare, delusi dalle loro stesse capacità, ma all’improvviso un dardo d’argento saettò nell’aria e trafisse il geco blu, che morì dopo aver emesso qualche stridulo gemito di dolore. Tutti si voltarono, stupiti nel constatare che il dardo mortale fosse stato scagliato dalla bella donna, entrata poco prima, utilizzando una piccola balestra meccanica legata all’avambraccio destro. Sulla schiena portava una seconda balestra, molto più grande e minacciosa.
“Sono qui per parlare con il Pescastorie” annunciò lei.
Allora il capitano rispose con un cenno del capo, invitando la donna a sedersi al suo tavolo.
Lei accettò, lanciando un sacchetto di tela che vomitò decine di monete d’oro, d’argento e di bronzo.
“Ho delle domande” disse, accompagnando il tintinnio delle monete con la sua voce decisa.
“Tu hai vinto al gioco. Quest’oro demaciano non è necessario. Puoi chiedermi quello che vuoi, cacciatrice” continuò il vecchio, intascando comunque qualche moneta d’argento, e riavvicinando poi il sacchetto verso la sua proprietaria.
“Come sai chi sono?”
Seguirono interminabili attimi di silenzio. Da esperto cantastorie quale era, il capitano aveva imparato, negli anni, che lunghe pause sono il modo migliore per creare tensione e tenere il pubblico col fiato sospeso. Prima che la sua abitudine potesse risultare scortese, rispose alla domanda.
“Pelle candida come la luna, capelli e abiti del colore della notte. Sei una creatura delle tenebre, non dissimile dai mostri che ti temono, ai quali dai la morte con le tue armi d’argento. Nessuno, qui a Bilgewater, sprecherebbe l’argento come fate voi cacciatori.”
“Molto interessante” tagliò corto Vayne, “Perché ora non mi racconti cosa sta succedendo in queste acque? Sono qui perché voglio sapere dove si stanno radunando gli spettri e le apparizioni che solitamente si manifestano durante l’Harrowing.”
“Sai, io non sono un mago. Né un indovino” precisò l’anziano capitano, dopo una risata, carica di stanchezza, “Sono un avido lettore e un osservatore del mondo. Posso dirti da quale direzione scappano gli animali, quali urla viaggiano nel vento, e posso indicarti la stessa isola di cui ho già parlato a tutti cacciatori che sono venuti a cercarmi prima di te.”
Sembrò che il discorso fosse finito, ma il Pescastorie aveva ancora molto da dire. Sebbene Vayne non fosse interessata ad ascoltare deliranti fantasticherie su Bilgewater o sulle Isole dell’Ombra, lui promise che ne sarebbe valsa la pena. Anche tutti i marinai, che avevano continuato a rumoreggiare senza tregua fino ad allora, si avvicinarono per ascoltare le parole del vecchio capitano. Lo spilungone senza un orecchio gli porse un lungo sigaro, già acceso, così dense nuvole di fumo bianco accompagnarono il fiume di parole che cominciò a  sgorgare dalle sue labbra.
La storia parlava di un re delle epoche passate, saggio, potente, forte e generoso, le cui azioni condannarono il suo intero regno per l’eternità, celandone la gloria dietro banchi di fitta nebbia maligna. Solo pochi dei suoi discendenti sopravvissero dopo la caduta del regno, eppure rimasero legati a quei luoghi in rovina, nei quali non avrebbero più potuto vivere serenamente. Gli eredi del re ebbero figlie e nipoti, che ne ebbero a loro volta. Per secoli, lo stesso sangue della dinastia si ribellò alla malvagità del re caduto, e vennero alla luce soltanto figlie femmine. Nessuno può dire se ciò accadde per caso o per destino, tuttavia si narra che solo il primo maschio avrebbe raccolto il retaggio del suo antenato.
Umide paludi, maledette dal tempo e dalle azioni consumate sopra di esse, attendono il ritorno di un degno sovrano. Ma quale destino è auspicato per costui, dai demoni ormai corrotti dalla nebbia?
Questa è una storia ancora da scrivere. I cui narratori stanno sussurrando, nascosti nell’oscurità.

II
- Il canto del Re -
Soltanto un traghettatore si offrì di accompagnare Vayne fino all’arcipelago esterno delle Isole dell’Ombra. Per convincerlo, la cacciatrice dovette offrirgli tutto l’oro che era rimasto in suo possesso.
Il vecchio Pescastorie aveva ragione: i pesci, gli insetti e gli uccelli, tutti scappavano il più lontano possibile da una delle isole. Neanche durante il più terrificante degli Harrowing passati si era mai vista una simile quantità di Nebbia Oscura concentrata in un’area. La terra ne era totalmente inondata; sembrava di percorrere le distese innevate del Freljord, dove la neve arriva quasi fino alle ginocchia.
All’inizio orientarsi fu parecchio difficile. La Nebbia Oscura ricopriva interamente l’acquitrino in cui Vayne si trovava, rendendo pressoché impossibile muoversi senza incappare in rami sporgenti o enormi pozzanghere. Dopo molte ore di marcia, finalmente qualcosa ruppe la monotonia di quel territorio umido e spettrale. Un cadavere, forse di uno dei tanti pescatori di Bilgewater di cui si perdono le tracce quando navigano troppo vicini alle Isole dell’Ombra. Il corpo avvizzito, divorato dagli spiriti maligni che infestano la nebbia, era inginocchiato, immerso in un inchino assoluto, col capo chino fino a terra.
Tutti i corpi rinvenuti da Vayne nelle ore che seguirono avevano la medesima posizione: prostrati a terra e rivolti nella medesima direzione, un promontorio nella zona occidentale dell’isolotto. In cima alla scogliera si ergeva una casa a due piani, in legno e mattoni, costruita a strapiombo sul mare. La parte centrale del tetto era crollata rovinosamente, eppure le macerie avevano assunto la forma circolare di uno spigoloso rosone, che faceva ripensare all’architettura delle cattedrali che alcuni regni costruirono secoli addietro.
Alla casa diroccata si poteva giungere mediante un’unica via. Lungo di essa l’erba era secca, e la terra, morta. I tronchi degli alberi, sfregiati da squarci simili a sinistri sorrisi, erano inclinati proprio verso la struttura fatiscente. Come loro, animali morti ormai irrigiditi e corpi imbalsamati si prostravano in esagerati inchini, omaggiando qualsiasi cosa si celasse dietro le pareti semi distrutte.
Un fulmine rischiarò di luce violacea il cielo, ingrigito dall’abbraccio delle nubi che si mescolavano alla Nebbia Oscura creando un sinistro vortice in continuo movimento. Attorno a Vayne non c’era più alcun segno di vita. Il vento smise di soffiare sui corpi morti e silenti, le onde del mare non si infrangevano più contro la scogliera. Il vortice nel cielo era l’unica cosa che continuava a muoversi, girando lentamente, come gli ingranaggi all’interno di un carillon. E forse proprio nel suo moto perpetuo riproduceva un flebile suono, accompagnato da un eco lontano:
“Anime morte, che ancora vivete,
unitevi a noi nell’inchino infinito,
poiché se l’erede celebrerete,
ricorderà il Re di avervi sentito.
Il Canto del Re è a lui assai gradito.
È giunto l’araldo della Nebbia Oscura,
che noi serviamo con timore e paura;
possa regnare per l’eternità,
anima nera nella notte più scura,
dal cuore di tenebra, senza pietà.”
Nonostante il riecheggiare di quel lugubre inno, Vayne entrò nella casa senza esitazione. Aveva già affrontato numerosi orrori nel corso della sua vita; qualche corpo imbalsamato e una cupa poesia non l’avrebbero fatta desistere. Prima che la mano della cacciatrice toccasse il pomello della porta, questa si spalancò senza emettere alcun suono. Lo stretto corridoio era illuminato da poche candele, che emanavano una flebile luce verde-azzurra. Dalla parete penzolava un quadro, malamente dipinto con colori ad acqua, raffigurante una tranquilla e ordinaria scena di pesca. Sull’intero soffitto era stesa, per molti metri, una rete da pesca, nella quale erano intrappolati decine di pesciolini arancioni imbalsamati.
Rumore di passi. Qualcuno alle spalle. La luce fioca proiettò sul muro l’ombra di un uomo, col braccio sollevato e un coltello in mano. Troppo lento. Prima che la lama potesse cominciare la sua mortale discesa, un dardo d’argento trafisse in pieno petto il malintenzionato che, senza un lamento, cadde al suolo privo di vita. Voltatasi, Vayne fu oltremodo sorpresa nel constatare che il suo aggressore avesse un secondo foro nel petto, ben più grande di quello che lei gli aveva inflitto: il cuore era stato asportato, e lui era diventato un manichino animato dalle energie maligne della Nebbia Oscura.
Prima che potesse riprendere fiato, la cacciatrice fu attirata da un secondo urlo.
“Aiuto! Mamma, fermati!”
Vayne percorse il corridoio con molta cautela. Dopotutto lei non si era recata su quell’isola per salvare delle vite, ma per stroncarle. Entrò nella sala a sinistra, attraversò un’altra piccola stanza e poi quella successiva. All’improvviso notò una seconda ombra sul muro, di fronte a lei. Si affacciò, e vide una donna che stava pugnalando ripetutamente un corpo completamente nascosto sotto un telo nero. Senza indugiare, Vayne caricò la balestra e colpì la donna in pieno volto, spegnendo per sempre la luce azzurra che brillava nei suoi occhi e animava la sua follia.
Il coltello era rimasto conficcato tra le pieghe del lenzuolo color pece. La cacciatrice notturna non ascoltò il suo istinto, che le urlava di scappare via, e allungò una mano per scoprire cosa ci fosse nascosto sotto la coperta. Quello che seguì, accadde in una manciata di secondi.

III
- Buon sangue non mente -
Una mano robusta afferrò l’avambraccio destro di Vayne, riducendo in frantumi la sua balestra; poi la scaraventò con forza contro la parete della stanza. Le assi di legno si incrinarono all’impatto. Prima che la donna toccasse terra, la creatura la caricò una seconda volta. I suoi arti, di legno come il resto del corpo, erano controllati da fili quasi invisibili, che sgusciavano sibilando tra le travi del soffitto, emettendo brevi e acuti fischi mentre fendevano il legno, causando una pioggia interminabile di segatura.
La marionetta balzò addosso a Vayne con tutta la sua mole. Sfondò il muro della stanza e di quella successiva, senza permettere alla cacciatrice di riprendere fiato. La lotta terminò nel corridoio principale, dove il burattino disarmò Vayne della seconda balestra, che portava sulla schiena, e la imprigionò nell’enorme rete appesa al soffitto. Allora ci fu un ulteriore crollo, effetto collaterale della battaglia che aveva devastato il piano terra dell’abitazione: le assi che costituivano il pavimento del piano superiore crollarono, facendo da scivoli per le macerie che già pesavano sulla casa diroccata.
L’ondata di polvere che seguì costrinse Vayne a chiudere gli occhi. Il rumore fu assordante, tuttavia cessò quasi subito. Lei sollevò le palpebre con cautela. Tutto era molto confuso. Mobili distrutti, libri bruciati, persino un paio di corpi mummificati erano precipitati accanto alle sue gambe. Scosse la testa, cercando di eliminare il fischio fastidioso che ancora le rimbombava nelle orecchie. Guardando il cielo si accorse di trovarsi proprio sotto il vortice generato dalla Nebbia Oscura, che ancora cantava la sua misteriosa profezia.
Poi abbassò gli occhi. Notò che dal secondo piano, il cui pavimento era ancora parzialmente integro, una figura seduta su un trono rozzamente intagliato la stava osservando. Prima che potesse identificarla, le dita lignee della marionetta afferrarono Vayne dietro la testa e la sbatterono violentemente contro il pavimento, provocandole una ferita sulla fronte. L’impatto quasi la face svenire. Solo le note ruvide di una voce che iniziò a parlarle, impedirono alla sua coscienza di scivolare nell’oblio.
“Come osi poggiare il tuo sguardo indegno sulla nostra eccelsa persona?! Per non menzionare i tuoi atti ribelli, che hanno intralciato il nostro divertimento. Il momento di pagare il fio è giunto, miserabile.”
“Che razza di mostro sei, tu?” chiese Vayne, tossendo.
Per tutta risposta, la marionetta la afferrò nuovamente. Le sbatté altre tre volte la fronte contro il pavimento, allargando la ferita. Poi sollevò il volto, ridotto a una maschera di sangue, verso l’anziano seduto sul trono. Era coperto da un ampio mantello sgualcito, ricavato da sacchi di tela scura, con archi color porpora, culminante in un largo cappuccio che ne copriva il volto fin sotto le narici. Da due buchi circolari fuoriusciva la luce delle sue iridi. Verde, la sinistra; verde e azzurra la destra, infiammata dallo stesso fuoco ceruleo che vomitava dalla bocca, ogni volta che muoveva le labbra secche e screpolate.
Il braccio destro, rinsecchito, avvolto da una bendatura consumata, era sollevato all’altezza della spalla. Il palmo aperto della mano, era rivolto verso il vortice di Nebbia Oscura, e alle dita erano legati fili che salivano fino al cielo. Sottili come capelli, tesi all’estremo, si perdevano nell’infinito mistero delle nubi, e ricadevano sulle giunture della marionetta, per controllarla.
“La tua insolenza blasfema ha superato il limite! Ti abbiamo rivolto la parola nonostante tu non abbia intonato il Canto del Re, e ciò che riceviamo sono insulti e scherno? Gioisci, patetica umana, giacché sarà la nostra mano a porre fine alla tua agonia!”
Appena il vecchio smise di urlare, una lancia infusa del potere della Nebbia Oscura colpì la sua marionetta, scaraventandola lontano da Vayne. Da un portale, aperto nella nebbia stessa, fuoriuscì la Dama della Vendetta, anch’ella corrotta dal tempo e dall’odio, con indosso un’armatura perforata dai segni del tradimento che aveva subito. Le lunghe dita di Kalista erano strette attorno alla sua lancia nera e alla grande balestra di Vayne. Liberò la donna dalla rete nella quale era intrappolata, poi gettò entrambe le armi a terra, di fronte a lei, lasciandole il tempo di fare alla sua scelta.
Gli occhi di Kalista, brillanti come azzurri fuochi fatui nella notte, fissavano inferociti l’uomo seduto sul trono.
“Noi, il reale Ahrmio, ci ricordiamo di te, schiava. Sei tornata per deludere il nostro sangue, come già facesti in passato?”
Prima che Kalista potesse rispondere, Vayne aveva afferrato la lancia nera e l’aveva conficcata nel suo stesso petto. Conosceva le conseguenze, ma sapeva che altrimenti non avrebbe avuto abbastanza forza per combattere. Percepì il potere oscuro che aveva sempre combattuto fluire dentro di lei, restituendole le forze.

“Noi siamo legione. Per tempo immemore coltivammo il nostro odio, e oggi avremo la nostra vendetta!”.

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